L’aborto prima della legge n. 194/78

L’informazione su metodi contraccettivi:  storia dell’articolo 553 c.p.

Prima del 1978 in Italia l’aborto era un reato disciplinato dal Codice Penale. L’interruzione volontaria di gravidanza non era solo considerata una pratica illegale ma era punita anche la “propaganda” e l’informazione su metodi anticoncezionali. Se oggi è complicato parlare di aborto e trovare informazioni scientifiche e corrette sul tema, prima dell’introduzione della legge 194 tutto ciò costituiva un vero e proprio reato. L’articolo di riferimento era il 553 c.p., intitolato “Incitamento a pratiche contro la procreazione” e puniva chiunque in pubblico incitasse a pratiche contraccettive e chiunque divulgasse informazioni e conoscenze finalizzate a mettere in luce favorevole tali pratiche. L’art. 553 era inserito all’interno del Titolo X  “Dei delitti contro l’integrità e la sanità della stirpe” del Codice penale che toccava argomenti quali: delitto di aborto, di procurata impotenza alla procreazione, di contagio di sifilide e di blenorragia. 

Introdotto dal Codice Rocco negli anni Trenta, l’art. 553 era sopravvissuto alla fine del fascismo e alla transizione alla Repubblica e solo il 16 marzo 1971, la Corte Costituzionale lo dichiarò illegittimo. Punire l’informazione contraccettiva era funzionale per preservare una delle politiche cardini del fascismo: la politica natalista. Anche se, nei quarant’anni di vigenza l’art. 553 ebbe scarsa applicazione, la sua sopravvivenza formale fu difesa a spada tratta dalla politica.

 

Il reato di informazione contraccettiva non nasce con il codice Rocco. Le prime azioni repressive erano state introdotte nel 1926 con il Testo unico delle leggi di Pubblica Sicurezza. All’art. 112 si vietava la diffusione di scritti o disegni «offensivi della morale, del buon costume» e all’art. 113 si precisava che erano considerati tali anche gli scritti che fornivano informazioni sui mezzi atti a interrompere la gravidanza, e sul modo di procurarseli. Con un altro articolo, il 115, si vietava l’inserzione sui giornali di avvisi concernenti mezzi antifecondativi. In seguito si vietò la registrazione di farmaci che avessero proprietà anticoncezionali e anche la registrazione di presidi medici o chirurgici che praticavano metodi anticoncezionali. L’azione più forte e repressiva arriva con il Codice penale Rocco. Questo ufficializza la categoria dei delitti contro l’integrità e la sanità della stirpe, introducendo in quest’ambito il reato di aborto, compreso nel precedente Codice penale tra i reati contro la persona. Si concretizzava, così, la politica natalista delineata da Mussolini nel suo  «discorso dell’Ascensione». In base alla teoria del “numero è potenza”, la natalità e il progresso demografico diventano il fulcro centrale dell’ideologia fascista. Il guardasigilli Alfredo Rocco chiarì il concetto ideologico dell’articolo 553 in un discorso fatto alla Camera nel 1925: “Tra i principi guida nell’elaborazione di questa legge vi era quello di tutelare l’integrità e l’avvenire della razza, reprimendo la propaganda malthusiana, le varie forme di auto-intossicazione, e la diffusione dolosa o colposa delle infezioni luetiche, sopprimere o isterilire le fonti della procreazione è un attentato alla vita stessa della razza” .L’articolo 553 fu trascinato ben oltre la nascita della Repubblica italiana. L’assemblea costituente si occupò in modo marginale del tema. L’articolo 553 fu affrontato parlando della prolificità delle famiglie. Non si discuteva di interruzione volontaria di gravidanza o di metodi contraccettivi come di un diritto individuale della donna, quindi legato ad una sfera individuale, ma si discuteva del valore sociale e politico della famiglia, intesa come istituzione naturale.  

Il tema, poco affrontato, durante la Costituente si ripropose in sede parlamentare.  Tra il 1952 e il 1968 furono presentate in totale otto proposte di legge che ipotizzavano l’abrogazione o la sostanziale modifica dell’art. 553. Tra queste si colloca anche la mozione presentata da Giancarlo Matteotti, figlio di Giacomo, deputato del Psdi. L’argomentazione era completamente cambiata: abrogare l’articolo 553 significare fronteggiare la diffusione degli aborti clandestini, che ai tempi, raggiungeva un numero di circa 800.000 casi ogni anno. Tutti i tentativi di modifica parlamentare fallirono. L’articolo 553 fu preservato e rivestito di nuove funzioni di utilità, molto lontane da quelle dell’ideologia fascista. Si alludeva al diritto di famiglia, e dunque alla tutela di un corpo collettivo, e non più alla procreazione retta dal mito della natalità. Venne cambiato anche il lessico proprio di questo articolo, un lessico fascista che riportava il termine stirpe, che fu poi sostituito dal vago: generazione. Un primo passo importante verso la cancellazione di tale articolo, arrivò dal Tribunale di Milano nel 1952. Il tribunale operò una sottile distinzione tra pratiche abortive e pratiche anticoncezionali. L’articolo 553 infatti, secondo i giudici milanesi, condannava pratiche contro la procreazione ma solo a fecondazione avvenuta. Secondo questo principio le pratiche anticoncezionali prima della fecondazione non potevano essere condannate. Si creava così un modo per fare una differenze importante tra pratiche anti contraccettive e abortive. I termini del dibattito erano cambiati. Se durante il ventennio si aveva paura del declino demografico, nel dopoguerra si apriva il timore all’idea del sovrappopolamento. Segnale importante di questo cambiamento era l’apertura persino della Chiesa cattolica verso i metodi “naturali” per controllare la fecondità. Si stava preparando, dunque, quel terreno fertile che avrebbe portato, solo nel marzo 1971, la Corte Costituzionale a dichiarare illegittimo l’articolo 553. Da quel momento l’informazione sulle pratiche contraccettive non costituiranno più reato, ma l’attuale difficoltà nel reperire informazioni circa i metodi anticoncezionali sembra essere un antico retaggio di quel vecchio articolo. 

 

 

Fonte: “Note sulla storia dell’articolo 553 del Codice penale italiano” di Emmanuel Betta